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«La mia passione per la musica? C’è sempre stata. È iniziata quando ero molto piccolo. Ho iniziato a suonare il pianoforte quando frequentavo la prima elementare, poi è arrivata la chitarra».

È musicista, cantautore e produttore, Salvatore Cafiero, in arte Cafiero, vanta una carriera illustre caratterizzata da una vasta esperienza live, non solo in Italia ma anche in Europa e in America, e da una serie di collaborazioni prestigiose. Il chitarrista, abile nello spaziare tra differenti generi musicali, desta interesse anche come cantautore, per l’efficacia dei testi, per l’elegante timbro di voce e il sound corposo e attraente. L’8 settembre 2017 ha pubblicato il suo primo disco ufficiale dal titolo omonimo Cafiero. Ha collaborato con numero artisti tra cui Nek, i Tiromancino, Dolcenera, Eros Ramazzotti e Gianluca Grignani che, ha accompagnato alla chitarra, sul palco dell’Ariston di Sanremo per la 73esima edizione del Festival più atteso dell’anno.

Le tue origini risiedono in Puglia. Che rapporto hai con la tua terra? «La mia gavetta è iniziata lì ed è durata tantissimo. Ho iniziato ed esibirmi nei locali, insieme a mio fratello, quando ero ancora minorenne. Poi ho intrapreso la prima collaborazione con Dolcenera e da lì mi sono spostato molto. Ho vissuto a Torino, Roma, Milano. Dalla pandemia, invece, sono ritornato nel Salento. Ho capito che dovevo coltivare il rapporto con la mia famiglia perché può accadere di tutto da un momento all’altro. Sono ritornato alle origini. Anche se la musica mi porta a spostarmi in continuazione».

Ed è grazie alla città di Milano che hai conosciuto Grignani? «Sì. Eravamo vicini di casa, casualmente. Ho iniziato a collaborare con lui più di dieci anni fa. Quando mi fermai con il tour di Dolcenera, il fonico dell'artista aveva iniziato a suonare con Gianluca e mi aveva detto che stavano cercando un chitarrista, avevano avuto problemi con quello che c’era e mi avevano proposto di sostituirlo. La collaborazione è iniziata così e non è mai finita, spero che continui sempre».

Avete un bel rapporto … «Sì, ormai siamo amici. Gianluca è un amico vero».

È stata una bella sorpresa vederlo sul palco dell’Ariston. Il brano che ha portato “Quando ti manca il fiato” è molto profondo… «Non è facile portare una canzone che parla di un rapporto così intimo con il proprio padre, specialmente se le cose non vanno bene. Spesso è difficile anche parlarne con un amico, figuriamoci far diventare di tutti un brano che sai che ascolterà anche tuo padre. Lui ogni volta che la canta prova un’emozione grandissima. Non lo dico perché sono di parte: credo sia stato tra gli unici brani presentati a Sanremo quest’anno con una tematica forte, seria e comune. In tanti si possono rispecchiare».

Si percepisce che stimi molto Gianluca. Vero? «Sì, assolutamente. Gianluca è un artista a 360 gradi, ha un certo spessore nel panorama della musica italiana ed ha realizzato brani di qualità, così come quello presentato a Sanremo che, considero uno show molto superficiale».

Cosa intendi per show superficiale? «L’arte in generale non paga. Soprattutto in Italia la gente è svogliata, si ferma in superficie, non ha voglia di andare oltre. Ed è quello che accade a Sanremo. C’è sicuramente la volontà di trattare temi profondi, poi però, si finisce inevitabilmente a parlare del vestito di Elodie, dell’interpretazione perfetta di Marco Mengoni. Sono cose ovvie, scontante e non hanno nulla a che fare con la profondità di un testo».

Per te non era la prima volta sul palco dell’Ariston … «No. Ero venuto sempre con Gianluca nel 2015 con “Sogni infranti”. Ero più piccolo, ero più emozionato. La seconda volta l’ho vissuta meglio».

La tua principale ansia prima di esibirti su palco? «Spero sempre che tutto funzioni bene. Che ogni cavo sia al posto giusto per poter suonare tranquillo».

Non spacchi niente tu? «Ecco. Si vede che Blanco non ha una lunga gavetta alle spalle. I problemi tecnici sono all’ordine del giorno, posso capitare in continuazione e la bravura dell’artista sta proprio nel saperli camuffare e gestire. A volte possono diventare addirittura una risorsa, sia umana che artistica».

Cosa pensi del successo dei giovanissimi? «Essere così famosi a 20 anni è una malattia. Non può essere una risorsa. Il successo bisogna saperlo gestire, devi capire prima chi sei, cosa vuoi. La musica è un lavoro come tanti altri. Io faccio il chitarrista da 20 anni ma sono cambiate tante cose».  

E tu in cosa sei cambiato in questi 20 anni? «Le esperienze ti formano, ti rendono umile e ti permettono di avere maggiore consapevolezza di te stesso».  

Hai un gesto scaramantico che ripeti prima di esibirti? «Cerco di non essere troppo scaramantico, ma un po' ammetto di esserlo. Porto sempre con me, dietro al palco, un’acqua tonica, anche se non la bevo. L’ho sempre fatto ed è un gesto che ripeto».

Hai progetti imminenti a cui stai lavorando? «Ad aprile e maggio sarò in tour con Raf ma ammetto che vorrei far uscire qualcosa di mio, vorrei avere il tempo e la calma per farlo. Non ho fretta, quando avevo qualcosa da dire, è arrivato tutto in modo molto naturale».

 

 

Rosy Della Ragione

 

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