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Eugenia Tamburri è una donna sorprendente, dalle mille sfaccettature e colori. Oltre ad essere una della più acclamate concertiste è una bella donna, bionda, dotata di una “forza” comunicativa davvero speciale. Musicista raffinata, plurilaureata, conduttrice di programmi radiofonici, autrice di spettacoli sempre in movimento creativo. Nel 2022 ha pubblicato ChiaroScuro per la Digital Records, il primo disco da solista dedicato al padre. Eugenia è la pianista di Scordato di e con Rocco Papaleo oltre che con Giorgia, per la prima volta in veste di attrice. Ospite al festival internazionale del film per ragazzi Val di Chiana Senese 2023, ha ricevuto un premio per la sua magnifica interpretazione in Micol e Micol, per la regia di Fernando Popoli (che ha ricevuto il Premio alla carriera). In questa primavera 2024 ha pubblicato con Arturo Annecchino, Dea Madre, quarantaquattro brani del compositore ispirati alle divinità della Grecia classica, della Roma pagana e dell’antico Egitto.

Eugenia se dovessi definirti come artista cosa diresti di te?

Credo che l’arte sia per me linfa vitale. Ho studiato molto, musica, pianoforte, lingue. Credo che non si finisca mai di imparare e la mia curiosità, la voglia di conoscenza mi spinge sempre ad andare oltre. In fondo ho lasciato la mia terra dove il dialetto, le tradizioni, sembrano limitare quell’orizzonte “aperto” e senza confini che, lo studio delle lingue e la passione per la musica, mi regalavano, spingendomi ad una ricerca continua fuori e dentro di me verso una libertà ed una indipendenza che avevo sacrificato all’impegno e allo studio da quando ero bambina.

Interpretare la pianista di Scordato ti ha coinvolta?

Il film mi ha davvero coinvolta, perché Rocco Papaleo con la sua scrittura intensa ha tratteggiato la storia con una delicatezza ed un’intensità speciali. Una tematica profonda ed intima, alleggerita da un pizzico di ironia, come solo lui sa fare che mi ha costretta a fare un “viaggio” interiore. Orlando (il protagonista, interpretato da Rocco) racconta con una vena poetica e malinconica, il ritorno in Basilicata, la sua terra natia. Un viaggio nel ritrovare sé stesso, dialogando con il suo alter ego, bambino e giovane ragazzo pieno di speranze. Sono molisana ed anch’io, ad un certo punto, ho sentito il bisogno di andare via. La bellissima riflessione che il film propone, sul come sia necessario “accordarsi” col proprio passato, l’ho sentita anche mia.

Cosa hai conservato?   

Una bellissima sensazione, perché Rocco ci ha scelti con meticolosa attenzione, come tessere diverse di un unico mosaico. Anche caratterialmente ci siamo scoperti tutti complementari, persino con Giorgia! Papaleo ha saputo guidarci con maestria al punto che per la scena finale, ci ha convocati tutti senza svelarci quello che aveva in mente, mettendoci in condizione di essere spontanei e dare il meglio. Abbiamo vissuto nella sua casa natale di Lauria, respirando appieno un po' di quella magia che ha saputo mettere nel film.

Sei sempre in viaggio, in giro per l’Italia in tournee o ad insegnare in tanti Conservatori. Quanto è importante il viaggio e l’esperienza che ne deriva nella tua vita?

Intanto ho deciso di lasciare la mia terra, di partire per un viaggio nella vita. Poi credo che il viaggio più importante lo si faccia dentro di noi, nello scoprire sfumature, risorse che non credevamo di possedere. Mettermi in gioco con Scordato, benché avessi già girato qualche cortometraggio, è stata una bella sfida con me stessa. Un viaggio che mi ha permesso di capire come sia affascinante stare davanti ad una macchina da presa e vedermi sul grande schermo, mi ha emozionata tantissimo.

Ad oggi qual è il tuo rapporto con il cinema? Ti piacerebbe lavorarci ancora?

Il cinema mi affascina, mi ha messa alla prova facendomi riscoprire sfumature di me importanti. Spesso lavoro per il cinema e la televisione, “doppiando” le parti suonate di molte pellicole. Lì lavoro davanti alle immagini che scorrono, permettendomi con il mio pianoforte, in qualche modo di entrare in mondi diversi. Recitare in un film come Scordato, dove interpreto proprio una pianista è stato magico: pensa che tra l’altro, la parte era stata scritta per un uomo, ma in qualche modo, ho convinto Rocco a cambiare il personaggio. Non mi dispiacerebbe per niente, oltre ai tanti cortometraggi che ho già interpretato, poter far parte di un altro cast e vedere di cosa sono capace!

Progetti futuri?

Tanti, come sempre sarò impegnata in una tournée estiva di cui stiamo definendo date e luoghi, ma sono sempre in “fermento” creativo. L’arte è il mio mestiere, la mia anima…

 

 

Vanessa Contucci, giovane e promettente attrice, si racconta per noi con la semplicità e la schiettezza che la contraddistingue. Nata il 6 maggio ’94 ad Urbino, vissuta a Riccione, si è trasferita a Roma poco più che ventenne per studiare al Duse International con Francesca De Sapio.  Oggi ha realizzato il sogno di approdare sul grande schermo: nella sua pellicola d’esordio, Il meglio di te di Fabrizio Maria Cortese con Maria Grazia Cucinotta, Vincent Riotta, Daphne Scoccia, Anita Kravos, Simone Montedoro, Giusi Merli, Mattia Iasevoli ed Elvira Cuflic, interpreta il Veronica, che l’ha messa alla prova regalandole, però, l’opportunità di riflettere sulle relazioni ed il potere del perdono.

Vanessa Contucci oggi sei una giovane donna che almeno in parte ha realizzato i suoi sogni?

Oggi sono fiera di me, non sono perfetta ma sono consapevole di aver attraversato un’adolescenza complicata, appesantita da qualche “dolore”, ma di aver avuto dalla mia parte l’amorevole cura dei nonni, la loro educazione e di fondo, una determinazione che mi ha permesso di trovare la mia strada. Quando sono andata a Roma per studiare al Duse, non è stato semplice dovendo contare solo sulle mie forze. Ho fatto un sacco di lavori diversi, ma fortunatamente con un po' di sacrifici e la passione per quello che facevo, mi hanno tenuta in equilibrio.

Quanto è stato importante questo periodo?

Credo che sia fondamentale, perché ci si forma, si impara davvero a scavare dentro di noi per raccogliere ogni riserva di energia, di forza per riuscire. Frequentando il Duse ho capito come la recitazione fosse la mia zattera di salvataggio, in un mare in tempesta. Recitando potevo mettere a disposizione tutta la mia interiorità anche quella ferita, imperfetta, provata. Un punto di forza e non di debolezza; una fatica di cui è valsa assolutamente la pena dove ho capito che era la mia strada e l’occasione di essere felice.

Ti reputi una persona ambiziosa?

In me ho sempre avuto un pizzico di competizione, che mi è servita ad uscire dall’anonimato, da dove arrivavo. Credo che sia una buona cosa essere in gara con sé stessi, avendo dei punti di riferimento artistici. Non mi metto mai in competizione con gli altri, perché credo che ognuno di noi sia unico ed irripetibile e non avrebbe senso. Sono convinta che sia importante riuscire a fare sempre del mio meglio, oggi un pochino meglio di ieri. Questa è la mia vittoria!

Per te il Cinema e la recitazione sono un “balsamo” per l’anima…

Sì, perché affrontando i miei dolori, scandagliando la mia anima, li affronto e mi curo. Un modo per mettermi alla prova e a nudo, aiutata dall’essere qualcun altro. In questo modo è come fare un passo indietro e attraverso il personaggio interpretato, avere un punto di vista anche su me stessa diverso ed equidistante. Grazie a questa passione, ho riscoperto lo studio che mi sta regalando davvero tanta energia, tanta forza che mi rendono molto fiera di me e del percorso intrapreso. Vedo con occhio diverso anche le mie paure, i miei limiti. Io ho sempre letto molto e il percorso universitario che ho intrapreso, credo che mi possa dare davvero tanto.

Dietro la macchina da presa, come ti senti?

Sono felice, perché non sono io ma un nuovo personaggio che deve prendere vita e non vedo l’ora di dargliene la possibilità. È una sorta di filtro, di scudo che mette me stessa, la me che fatica a mostrarsi, al riparo. Sul set, mi sento un tutt’uno con tutti condividendone la responsabilità e l’energia che ne deriva. Una sensazione bellissima che non so spiegare.

 Più difficile è raccontare me stessa, perché mi sento nuda. Quando devo partecipare a feste, a proiezioni mi sento allo scoperto e sono più timida, impaurita. Questo è un lavoro che so di dover fare su di me per superare paure che sono ataviche e mi appartengono da quando ero bambina.

Il teatro è nelle tue corde?

Si mi piacerebbe molto mettermi alla prova con l’immediatezza del palco, dove è buona la prima per forza. Una grande responsabilità ed una prova davvero particolare. Sono consapevole che potrei essere in difficoltà a gestire la tensione, ma sarei felice di provarlo

Cosa sogni?

Una tranquillità affettiva, una vita piena di cinema e magari un’esperienza lavorativa in America, la laurea.

 

 

The Kolors debuttano nel 2018 sul palco dell’Ariston di Sanremo con il brano Frida (Mai, mai, mai), loro primo lavoro in lingua italiana. Il gruppo composto da Antonio Stash Fiordispino (voce e chitarra), Alex Fiordispino (batteria) e Dario Iaculli (basso), ritorna in gara al Festival di Sanremo 2024 con il brano Un ragazzo una ragazza, dopo essere stati per mesi in vetta a tutte le classifiche con il singolo Italodisco.

Stash, di cosa parla il brano "Un ragazzo una ragazza"?  

«La canzone nasce da uno stralcio di vita vera. Un momento che abbiamo vissuto alla Stazione di Milano Centrale. Abbiamo assistito ad una scena in cui un ragazzo cercava di rompere il ghiaccio con una ragazza, questo ci ha fatto riflettere su come la generazione attuale è abituata ad approcci prettamente social e sempre meno reali».

Pensi possa diventare un tormentone?

«Beh speriamo. Prendo sempre il lato positivo di ciò che è racchiuso nella parola tormentone, è un sogno per chi fa pop e vuole arrivare a tutti».

Ti piacerebbe rappresentare l’Italia all’Eurovision?  

«La cosa più bella del mondo. Semmai dovessero dirti il contrario, sappiate che stanno mentendo spudoratamente».

Quanto conta il feedback di tua figlia?  

«Il feedback di mia figlia è importantissimo. Ai bambini arriva la sincerità, arriva forte e chiaro il messaggio dell’essenza. Arriva qualcosa che nel corso della vita spesso perdiamo. Vedere lei che canta a memoria una canzone mia, è una delle emozioni più forti che potessi provare».

Con che spirito affrontate il palco dell’Ariston?  

«È stato senza dubbio l’anno del cambio pagina. Abbiamo iniziato un percorso con la Warner Music Italia che ci ha sostenuto, ha creduto in noi ed ha messo alla base un entusiasmo che per noi è la base di tutto. Questo Festival serve per consolidare l’anno appena vissuto e tutto quello che è stato prima».

Che impressioni avete sul cast di quest’anno?  

«È un sogno far parte di un cast come quello di quest’anno. È sicuramente la conferma della mia idea del Sanremo degli ultimi anni».

Ti aspettavi il successo di "Italodisco"?  

«Ci speravo. Il percorso di Italodisco è stato pazzesco. Siamo stati in vetta alle classifiche per tanto tempo e quando stava svanendo l’euforia in Italia, è successo che all’estero, tipo in Polonia, c’è stato un boom incredibile. Mi ha scritto Blanka Stajkow, la cantante che, lo scorso ha, ha rappresentato la Polonia all’Eurovision. E così è nata una collaborazione: sarà presente nel nostro video musicale. Ma non voglio fare troppi spoiler, tanto lo vedrete a breve».

Come vi state preparando al vostro primo Forum previsto per il 3 aprile?  

«Non vediamo l’ora. È una festa da fare e condividere insieme a tutte le persone che ci hanno sempre sostenuto e che ci accompagnano in questo viaggio meraviglioso. Stiamo cercando di dare il massimo, ci sentiamo in dovere di restituire tutto quello che di buono ci è arrivato».

 

Rosy Della Ragione

Marianna Mammone, in arte Big Mama, è la giovane rapper in gara alla 74esima edizione del Festival della canzone italiana.

«Arrivo da un piccolo paese di provincia, sono una persona che ha sempre creduto in tutto quello che ha fatto – dichiara l’artista avellinese - i sogni al di sopra di tutto, io sono questa, prima ancora di essere grassa. Storicamente le donne sono state sempre criticate, attualmente c’è ancora una tendenza a voler definire una donna per ciò che è, per la forma estetica e poi semmai per quello che di buono crea».

Come sei arrivata a scrivere "La rabbia non ti basta"?  

«Un processo nato di getto. Un brano che mi “dovevo”. Non avevo mai parlato a me stessa con il cuore in mano, ne avevo bisogno. Avevo la necessità di comunicarmi qualcosa di profondo».

Di cosa parla?

«Il brano parla del desiderio di rivalsa, della voglia di combattere, di farcela e soprattutto di credere in sé stessi nella maniera più assoluta. Io sto imparando a farlo, non è semplice. Sono solita scrivere pezzi taglienti e in questo caso mi sono impegnata a smussare un po' gli angoli. È un brano che considero universale, spero possa non essere frainteso».

Come stai vivendo quest’esperienza?

«Sono molto sorpresa di percepire l’affetto e la stima delle persone che mi circondano. I musicisti sono formidabili e le persone che mi riconoscono sono molto affettuose. C’è una bella energia in generale, si respira ovunque, anche tra noi donne in gara c’è complicità, per me questo è molto importante. Alle prove ero molto emozionata, spero di riuscirmi a rilassare un po’ di più. Porto un brano che ho scritto insieme alla mia ragazza e mi auguro che questo possa darmi tanta carica, anche e soprattutto prima di salire sul palco per l’esibizione».

Nel testo ad un certo punto scrivi “Più di un colpo d’arma da fuoco, ti restava solo incassarli”

«Tutta questa rabbia dovevo trasformarla in qualcosa di bello, farla tramutare in energia positiva. Perché o trovi la forza per reagire o ti ammazzi e non nego che ho pensato anche alla seconda soluzione, specialmente quando ero più piccola. La paura di non essere capiti è tanta, non riuscivo a parlare con i miei genitori per raccontare quello che mi succedeva. Ero molto brava a nascondere il malessere, ma devo ammettere che ero circondata da parecchio menefreghismo, mia mamma e i professori, infatti, non si sono mai resi conto di nulla».

È stata una fase della tua vita molto dura…

«Si. Iniziavo a darmi la colpa di tutto, ero autolesionista. Ho sofferto anche di disturbi alimentari. Mi sono fatta del male. Il mio modo di punirmi era ed è purtroppo ancora oggi quello di non mangiare. Vorrei tanto poter risolvere questa cosa ma non è semplice».   

 

Rosy Della Ragione

 

«La mia passione per la musica? C’è sempre stata. È iniziata quando ero molto piccolo. Ho iniziato a suonare il pianoforte quando frequentavo la prima elementare, poi è arrivata la chitarra».

È musicista, cantautore e produttore, Salvatore Cafiero, in arte Cafiero, vanta una carriera illustre caratterizzata da una vasta esperienza live, non solo in Italia ma anche in Europa e in America, e da una serie di collaborazioni prestigiose. Il chitarrista, abile nello spaziare tra differenti generi musicali, desta interesse anche come cantautore, per l’efficacia dei testi, per l’elegante timbro di voce e il sound corposo e attraente. L’8 settembre 2017 ha pubblicato il suo primo disco ufficiale dal titolo omonimo Cafiero. Ha collaborato con numero artisti tra cui Nek, i Tiromancino, Dolcenera, Eros Ramazzotti e Gianluca Grignani che, ha accompagnato alla chitarra, sul palco dell’Ariston di Sanremo per la 73esima edizione del Festival più atteso dell’anno.

Le tue origini risiedono in Puglia. Che rapporto hai con la tua terra? «La mia gavetta è iniziata lì ed è durata tantissimo. Ho iniziato ed esibirmi nei locali, insieme a mio fratello, quando ero ancora minorenne. Poi ho intrapreso la prima collaborazione con Dolcenera e da lì mi sono spostato molto. Ho vissuto a Torino, Roma, Milano. Dalla pandemia, invece, sono ritornato nel Salento. Ho capito che dovevo coltivare il rapporto con la mia famiglia perché può accadere di tutto da un momento all’altro. Sono ritornato alle origini. Anche se la musica mi porta a spostarmi in continuazione».

Ed è grazie alla città di Milano che hai conosciuto Grignani? «Sì. Eravamo vicini di casa, casualmente. Ho iniziato a collaborare con lui più di dieci anni fa. Quando mi fermai con il tour di Dolcenera, il fonico dell'artista aveva iniziato a suonare con Gianluca e mi aveva detto che stavano cercando un chitarrista, avevano avuto problemi con quello che c’era e mi avevano proposto di sostituirlo. La collaborazione è iniziata così e non è mai finita, spero che continui sempre».

Avete un bel rapporto … «Sì, ormai siamo amici. Gianluca è un amico vero».

È stata una bella sorpresa vederlo sul palco dell’Ariston. Il brano che ha portato “Quando ti manca il fiato” è molto profondo… «Non è facile portare una canzone che parla di un rapporto così intimo con il proprio padre, specialmente se le cose non vanno bene. Spesso è difficile anche parlarne con un amico, figuriamoci far diventare di tutti un brano che sai che ascolterà anche tuo padre. Lui ogni volta che la canta prova un’emozione grandissima. Non lo dico perché sono di parte: credo sia stato tra gli unici brani presentati a Sanremo quest’anno con una tematica forte, seria e comune. In tanti si possono rispecchiare».

Si percepisce che stimi molto Gianluca. Vero? «Sì, assolutamente. Gianluca è un artista a 360 gradi, ha un certo spessore nel panorama della musica italiana ed ha realizzato brani di qualità, così come quello presentato a Sanremo che, considero uno show molto superficiale».

Cosa intendi per show superficiale? «L’arte in generale non paga. Soprattutto in Italia la gente è svogliata, si ferma in superficie, non ha voglia di andare oltre. Ed è quello che accade a Sanremo. C’è sicuramente la volontà di trattare temi profondi, poi però, si finisce inevitabilmente a parlare del vestito di Elodie, dell’interpretazione perfetta di Marco Mengoni. Sono cose ovvie, scontante e non hanno nulla a che fare con la profondità di un testo».

Per te non era la prima volta sul palco dell’Ariston … «No. Ero venuto sempre con Gianluca nel 2015 con “Sogni infranti”. Ero più piccolo, ero più emozionato. La seconda volta l’ho vissuta meglio».

La tua principale ansia prima di esibirti su palco? «Spero sempre che tutto funzioni bene. Che ogni cavo sia al posto giusto per poter suonare tranquillo».

Non spacchi niente tu? «Ecco. Si vede che Blanco non ha una lunga gavetta alle spalle. I problemi tecnici sono all’ordine del giorno, posso capitare in continuazione e la bravura dell’artista sta proprio nel saperli camuffare e gestire. A volte possono diventare addirittura una risorsa, sia umana che artistica».

Cosa pensi del successo dei giovanissimi? «Essere così famosi a 20 anni è una malattia. Non può essere una risorsa. Il successo bisogna saperlo gestire, devi capire prima chi sei, cosa vuoi. La musica è un lavoro come tanti altri. Io faccio il chitarrista da 20 anni ma sono cambiate tante cose».  

E tu in cosa sei cambiato in questi 20 anni? «Le esperienze ti formano, ti rendono umile e ti permettono di avere maggiore consapevolezza di te stesso».  

Hai un gesto scaramantico che ripeti prima di esibirti? «Cerco di non essere troppo scaramantico, ma un po' ammetto di esserlo. Porto sempre con me, dietro al palco, un’acqua tonica, anche se non la bevo. L’ho sempre fatto ed è un gesto che ripeto».

Hai progetti imminenti a cui stai lavorando? «Ad aprile e maggio sarò in tour con Raf ma ammetto che vorrei far uscire qualcosa di mio, vorrei avere il tempo e la calma per farlo. Non ho fretta, quando avevo qualcosa da dire, è arrivato tutto in modo molto naturale».

 

 

Rosy Della Ragione

 

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