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Sport

Sport (4)

Una filosofia semplice capace di arrivare a tutti gli amanti di storie di vita, che s’intrecciano alle fortune di un calcio capace improvvisamente di portarti sul tetto del mondo. Sono sentimenti che ciascuno riesce a fare propri, con quel filo conduttore che parte dalla povertà più povera e ti fa raggiungere a una celebrità improvvisa che sbigottisce, che quasi non ti fa riflettere come tutto ciò sia potuto accadere. E’ il sogno che si avvera, che si materializza come quasi non avevi neanche sperato, ma ti coinvolge in maniera totale e ti rivoluziona sostanzialmente uno status sociale che diventa privilegio. E’ il gol che è tutto, che fa vincere la tua squadra, che ti porta alla ribalta, che crea immagine e ricchezza. Nato a Palermo nel 1964 nel quartiere Cep, dove i ragazzini si scambiano droga come in altri posti le figurine dei calciatori, Totò Schillaci è stato capocannoniere ai Mondiali d’Italia ’90 e Scarpa d’Oro nello stesso anno. Ma per gli italiani del football quel mondiale ’90 iniziò al 78’ minuto di Italia – Austria, quando Schillaci, ultimo convocato, scende in campo e in quattro minuti segna il gol della vittoria. Erano le notti magiche fatte di girotondi di clacson, sventolii di bandiere e l’inno a Totò gol. L’Italia del pallone sembrava impazzita. Gli occhi spiritati di Totò Schillaci che erano inquadrati dalle telecamere dopo ogni suo gol, fecero il giro del mondo ed erano espressivi di chi, per trovarsi lì, ha preso a morsi il destino. Il ricordo di questo campione scorre in maniera fluida, passionale, senza intoppi, come se tutto fosse accaduto soltanto ieri. 

E’ la storia di un ragazzo che partito con il pallone in valigia da Palermo è arrivato a Messina dove ha conosciuto grandi allenatori strateghi come Scoglio e Zeman che gli hanno costruito il trampolino di lancio di una carriera ad altissimo livello nella Juventus dell’Avv. Giovanni Agnelli e Giampiero Boniperti che gli hanno spalancato le porte della Nazionale Italiana. Già, la maglia azzurra. L’ennesimo sogno che si realizza nella vita di Totò Schillaci. Una vita che è sempre legata al gol segnato che è tutto, perché lo realizzi quando entri in campo a partita in corso e fai vincere la tua squadra. Un segno del fato che è forse il motivo conduttore della sua storia di campione talentuoso e fortunato, come se qualcuno dall’alto del cielo gli avesse dato una mano. Un destino fatto di tante sfaccettature di vita che si dipanano tra glorie calcistiche e fatti personali, che hanno segnato il percorso umano di Totò Schillaci. Egli non aveva problemi nel raccontare i suoi trascorsi legati alla sua sfera affettiva e ai legami matrimoniali non sempre felici che l’hanno provato. E’ stato un Totò Schillaci che ha dato se stesso alla sua gente, non curante di alimentare la curiosità generale, ma con la consapevolezza di esprimere tutto il suo orgoglio di quanto ha fatto nella vita di calciatore e di ragazzo venuto dalla povertà del profondo Sud. Non ha amato la scuola, questo è stato un neo indelebile che gli ha impedito di crescere sotto l’aspetto culturale, tuttavia, resta pur sempre l’esempio di un ragazzo venuto dalla povertà del profondo Sud d’Italia, che se non avesse costruito la sua storia di campione di calcio, chissà cosa sarebbe stata la sua vita. E oggi che non c’è più, non si può far altro che ricordarlo in maniera semplice, senza la facile retorica dei sentimenti che dopo la morte di ogni personaggio si fanno smisurati. Sì, perché Totò Schillaci è stato l’esempio umile di un ragazzo venuto dal profondo Sud per incarnare i valori della povertà, in un mondo, quello del calcio, che trasmette da sempre riflessioni sociali di vita vissuta. Una storia per certi versi simile a quella di Pietruzzu Anastasi, il quale, qualche decennio prima, aveva fatto parlare intellettuali e sociologi in lunghi trattati di opinionesull’importanza di arrivare attraverso il calcio a una notorietà tale, capace di far rivalutare il Sud al cospetto del più avanzato e progredito Nord. Messaggi senza tempo che hanno fatto la storia di un calcio intriso di valori oltre che di gol.

 

Salvino Cavallaro

Pelé, la leggenda del calcio mondiale, scompare all'età di 82 anni. Era ricoverato dallo scorso 29 novembre all'Albert Einstein di San Paolo, in Brasile, per una infezione respiratoria dopo aver contratto il Covid-19 e per la progressione del tumore al colon.

"Tutto ciò che siamo, è grazie a te. Ti amiamo infinitamente. Riposa in pace". Così, aggiungendo l'emoticon di due cuori e una foto delle sue mani 'intrecciate' con quelle di sorelle e nipoti, la figlia di Pelé, Kely Nascimento annuncia su Instagram la morte del padre.

'O Rei', come lo soprannominarono estasiati i suoi connazionali brasiliani, lascia la moglie Nomi Aoki e sette figli.

Se il calcio non si fosse chiamato così avrebbe dovuto avere come nome Pelé, scriveva Jorge Amado. E ora che Pelé non c'è più, portato via da un tumore più feroce dei tanti mediani che lo hanno picchiato in campo, con lui se ne va anche una parte importante di questo sport, quella a misura d'uomo e di campione che ha caratterizzato il ventesimo secolo. Un monarca illuminato che in una vita da copertina ha regalato record (unico calciatore a vincere tre mondiali, il primo a 17 anni, 1279 reti segnate in carriera) e soprattutto sogni. 

"Onda Azzurra Vip", lo show dedicato al Calcio Napoli

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